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"Non è il buono contro il cattivo e fare in modo che vinca il buono. Il senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget."

Johan Cruijff

domenica 6 dicembre 2015

Fattore Arbitraggio


Le prime regole volte a dare ordine al gioco del calcio, le cosiddette "Shieffeld Rules", furono stilate nel 1858. Da quell'anno il calcio è evoluto, trasformandosi in qualcosa di molto, molto diverso rispetto alle sue origini. Sono cambiati i ruoli, i giocatori, gli schemi, le norme e, infine, la figura dell'arbitro. Si tratta di un discorso molto vasto, perciò vorrei soffermarmi semplicemente sul ruolo normativo che il direttore di gara ha assunto riguardo ad alcune situazioni si gioco, soprattutto sul fallo.
Oggi si dice che il calcio sia diventato uno sport quasi di "non contatto", in cui viene fischiato e sanzionato qualsiasi tipo di intervento. E' un calcio meno rude del passato. Io stesso credo che in futuro sarà difficile vedere giocare dei nuovi Gentile, Bruno (Pasquale, naturalmente), Montero o Materazzi, perché passerebbero partite su partite in tribuna a scontare le giornate di squalifica. Non avrebbero vita facile.
Questo cambiamento non è, però, dovuto a cambiamenti di tipo morale, non c'è un "ammorbidimento" spirituale generale. Sarebbe paradossale, infatti, vedere tanta violenza sugli spalti e così poca irruenza in campo. Tale mutamento è, invece, provocato dal diverso modo di applicare il regolamento. Se le Shieffeld Rules avevano un approccio piuttosto sfumato, oserei dire confuso, riguardo alle infrazioni di gioco, attualmente il nostro regolamento, "Regolamento, guida pratica e materiale didattico" del Settore Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri, può vantare una casistica molto più ampia, che contempla qualsiasi situazione ipotetica. Sono circa una ventina i contatti considerati "fallo" o "scorrettezza". Ciò è il risultato di una politica volta a uniformare il grado di giudizio degli arbitri a livello internazionale e ne consegue che l'arbitro migliore è colui che applica in modo migliore il regolamento. In Italia, a causa del nostro spirito complottistico e polemico (è più facile dare la colpa agli arbitri che ammettere le proprie carenze) si è arrivati ad una interpretazione ossessivamente letterale delle norme. L'evoluzione del gioco del calcio, sotto l'aspetto dei regolamenti, si potrebbe, dunque, definire "positiva", volta a osservare concretamente i fatti. In parole povere: le regole devono essere applicate, senza contemplare alcun tipo di interpretazione da parte di chi le fa rispettare, ovvero l'arbitro. Egli è diventato nient'altro che un banale esecutore della parola scritta, senza curarsi di ciò che è "giusto" o "ingiusto". L'interpretazione sta ormai svanendo, nonostante nei regolamenti si faccia riferimento al "buonsenso", inteso come "acume nella percezione del gioco, nell'attitudine dei giocatori, nel luogo e nel momento dell'infrazione" (Michel Vautrot).
Quali sono, perciò, le conseguenze più evidenti? Ogni contatto viene punito, senza curarsi della sua entità; il gioco viene molto più frammentato dai continui fischi; il tempo effettivo di gioco si riduce; aumentano le simulazioni o l'accentuazione del contatto e via discorrendo.
Il calcio odierno è forse più sicuro, ma sicuramente meno spettacolare, meno appassionante. Posso davvero credere che un leggero contatto sulla spalla di atleti di ottanta chili riesca a farli barcollare, cadere e rotolarsi come trottole urlando dolori atroci? La risposta mi pare evidente, pertanto concludo consigliando lasciare lavorare in pace l'arbitro, perché "spesso c'è più buon senso in uno solo che in tutta una folla."


martedì 1 settembre 2015

Fattore Stagione 2015/2016

La Serie A non è iniziata come era finita. La Juventus si riscopre orfana dei suoi fuoriclasse e parte da un rotondo zero in classifica, ma la sosta per le Nazionali può essere un prezioso aiuto.
Finite le isterie da (calcio)mercato, è ora di squadrare meglio la Serie A di quest'anno.
Ci sono stati grandi investimenti da parte delle "grandi sorelle" della penisola: Mancini ha finalmente ricominciato la sua rivoluzione nerazzurra; la porta girevole di Appiano Gentile ha fatto entrare ed uscire una ventina di giocatori in totale, di cui nove in entrata: Montoya, Murillo, Miranda, Kondogbia,  Jovetic, Perisic, Melo, Telles e Ljajić. Cambierà sicuramente il modulo e il modo, molto più contropiede che possesso. Via i piedi buoni, Hernanes e Kovacic, dentro il fisico dei mediani.  Il mio dubbio verte non tanto sulla qualità dei singoli, quanto sulla loro integrazione. Brasiliani, argentini, colombiani, montenegrini, croati, serbi, sloveni e via dicendo. Alla luce di questi profondi investimenti, è chiaro che i nerazzurri puntino a fare un campionato tra le prime tre, ma ci vorrà tempo. Non si può avere tutto e subito con così tanti giocatori che non conoscono il nostro calcio. Ce l'ho insegnato la Juve contiana, che vinse il titolo affidandosi a uomini di Serie A, con i vari Vucinic (Roma), Giaccherini (Cesena), Pirlo (Milan) e Lichtsteiner (Lazio). E' una regola semplice, ma che in molti tendono a ignorare, Inter in primis.
Passando ai cugini rossoneri, il pessimismo invade la scena come la nebbia brianzola ad ottobre. Cambio di allenatore, Mihajlovic, che ha tante rose (Sampdoria e Catania) quante ortiche (Bologna e Fiorentina) nel suo passato. Galliani ha messo le mani in attacco, che vanta ora Suso, Adriano, Menez, Cerci, Niang, Balotelli e Bacca, ha messo due innesti in difesa, Romagnoli ed Ely, e uno a centrocampo, Bertolacci e Kucka. Credo che sia stata la campagna acquisti più fumosa degli ultimi cinque anni, in perfetto stile campagna, non elettorale, ma di abbonamenti. Tre mesi di "giovani italiani", "nuovo ciclo" e "Bee", per arrivare alla terza di campionato senza una logica. Il Milan difficilmente uscirà dal pantano in cui si è immerso da ormai troppi anni.
La Juventus ha ringiovanito, la Roma rinvigorito. Una sottile diversità che potrebbe fare la differenza. Non sono due partite d'agosto a tracciare l' esito della stagione, ma ci vorrà bisogno di pazienza. Se da una parte bisogna ripartire da zero, dall' altra si deve cominciare dal dieci, ovvero Francesco Totti, messo da parte in questo piccolo scorcio di campionato. Personalmente credo che sia ormai giusto, lo fece Conte con Del Piero ed ebbe ragione. Ma non sono sicuro che il capitano romanista la stia prendendo bene. Da fiore potrebbe tramutarsi in spina.
La Juventus ha messo su una buona squadra, mi piace molto l'attacco, anche se la delusione del fantasista è un duro colpo. Hernanes è un ripiego ai vari Goetze o Draxler, ma gioca a suo favore la conoscenza del nostro calcio, di cui vive da ormai da quasi sei anni. Sono curioso di vedere la nuova colonna bianconera, che fu Buffon, Bonucci, Pirlo, Vidal, Tevez, e che è Buffon, Bonucci, Marchisio, Hernanes, Dybala. Rimane la favorita, ma con qualche riserva.
Di quelli che non ambiscono alle prime posizioni, mi è piaciuto il mercato del Torino, la mia personale mina vagante di quest'anno, della Fiorentina, nonostante i pochi denari messi sul tavolo e dell' Hellas. Boccio, invece, Genoa, Lazio e Udinese.
Riguardo al Napoli tentenno, perché mi è difficile paragonare gli errori di Sacchi nel primo anno di Milan, alle due partite di Sarri in terra partenopea. Sono due persone diverse, Sarri è molto più difficile da inquadrare, nonostante tutta l' Italia faccia il tifo per lui e per la sua favola in tuta.
La novità di quest'anno è che, comunque vada, sarà un campionato combattuto. La tirannia bianconera sta traballando.

mercoledì 6 maggio 2015

Fattore Andata

La Juventus si riscopre grande. Calciopoli, la Serie B, terzo, secondo, settimo e settimo posto in Serie A; Deschamps, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Delneri. Poi quattro scudetti consecutivi, con Conte e Allegri. Così recitava la cronistoria della Juventus d.M. (dopo Moggi). La Champions? Mai oltre i quarti di finale. Una semifinale di Europa League "salvava" i ben poco entusiasmanti cammini in Europa. Tutto questo fino a ieri sera, quando, con tutti i dubbi del caso (età, emozione, esperienza), Allegri decide di schierare Stefano Sturaro al posto di Pereyra, il quale, comunque, non è che abbia più anni, meno emozioni, o maggiore esperienza. Lo scetticismo, ancora una volta, circonda il tecnico livornese, che, però, ancora una volta, riesce a scemarlo in breve tempo.
Il ragazzo ligure, nato a Sanremo, ma cresciuto a Genova, si dimostra uno dei migliori in campo. Suo il primo tiro della partita. Ricorre, gioca con semplicità e non risparmia scivolate veraci. E' un ragazzo destinato probabilmente a diventare un beniamino dei bianconeri, come lo sono stati Davids o Ferrara o Montero. Tanta incoscienza, ma anche voglia e tenacia, come nel salvataggio miracoloso sul colpo di testa di James Rodriguez a porta vuota.
2-1, dunque. Di Morata, il figlio blanco rimpianto, il primo goal, su una respinta di Casillas, impegnato da un tiro velenoso di Tevez. Poi Ronaldo, a porta vuota su invito di Rodriguez, giocatore sublime sotto tutti gli aspetti. Infine Tevez su rigore, procurato da egli stesso dopo una traversata di metà campo. Il risultato è frutto di quello che potremmo definire un ibrido tra il possesso palla iberico e il catenaccio italico. 27 i passaggi per arrivare al primo goal di Morata, uno e tanta corsa per il rigore. Chiamale, se vuoi, emozioni.
Non è stato il migliore Real, orfano di Modric e Benzema, frenato dalle prestazioni inguardabili di Ramos e Bale. Non è stata la migliore Juve, con un Pogba in meno e tanta tensione in più.
Dicono che in partite come questi contino gli episodi, ma una tattica pressochè perfetta di Allegri, non guasta mai.
E' solo l'andata. Stanno già aspettando il Bernabeu (nel 2003 cla chiamarono la "fossa dei leoni") e dei merengues furiosi. Di mezzo, per loro, il Valencia.
Serve l'impresa, ora come ora, non impossibile.



lunedì 27 aprile 2015

Fattore Derby

Mentre Milano vive di stenti sportivi e cerca compratori esteri, Torino dona spettacolo di ogni tipo. Deplorevole fuori dallo stadio, appassionante sul campo di gioco. Il risultato è storico: 2-1. Pirlo, Darmian, Quagliarella. E così, dopo vent'anni, il tabù è sfatato. Di mezzo, anche tre pali colpiti dai bianconeri, ma che non bastano a fermare un urlo di gioia che i tifosi granata si tenevano dentro da ormai troppo tempo. Ultimo ad esultare fu Rizzitelli, con una doppietta.
Una vittoria da Toro, tutto cuore, magari con poca tecnica, ma trascinato da una voglia tremenda di dimostrare il proprio valore e far risplendere una gloriosa storia. Gli uomini partita sono tanti, da Quagliarella, il figliol prodigo, Darmian, il ragazzo dal viso pulito, Glik, il tenace beniamino della tifoseria o Ventura, l'allenatore-maestro che, a 67 anni, quando per gli altri inizia il declino, si ritrova all'apice della propria carriera. La libidine è negli occhi di tutto il popolo granata.
Dall' altra parte ci sono state scelte azzardate da parte di Allegri, come quella di rinunciare alla squadra titolare o il modulo ("sistema di gioco", preferisce il livornese) che ha fatto sbandare la Vecchia Signora. Il migliore degli juventini è stato Pirlo, che, a tratti, ha predicato nel deserto. La nota stonata in questo gruppo resta Alessandro Matri, sempre volenteroso, ma con quel briciolo di talento in meno, che ne ha sempre bloccato l'esplosione.
E' stato un derby storico, che, però, non crea troppi grattacapi, ovvi sfottò esclusi, in termini di classifica. L'unico pensiero ora è quello di chiudere il campionato il prima possibile e dedicarsi ai madrileni, che nutrono qualche difficoltà, ma che non sembrano patirne.
Dopo Parma e Torino, direi che i bonus sono finiti. Per scrivere qualcosa di veramente importante è necessario mettere da parte colpi di tacco e inutili leziosismi davanti alla porta avversaria.
Torino si ritrova, ancora una volta, ad essere la città a regalare più gioie ai propri sostenitori. Che sia davvero giunto il momento del fine del dominio milanese?

venerdì 20 marzo 2015

Fattore Audacia

Audentes fortuna iuvat, la fortuna aiuta gli audaci. La Juventus diede una svolta al proprio cammino in Champions League con una decisione alquanto audace: difesa a quattro con il trequartista nella partita da dentro/fuori con l' Olympiacos. Vinse il turno, arrivando agli ottavi con il Borussia, avversario non insormontabile, ma comunque temibile. In un altro momento decisivo, al ritorno, con l'infortunio di Pogba, altra decisione audace: ritorno alla difesa a tre-cinque con l' insermento di Barzagli, che è entrato in campo dopo mesi di infortunio e per nulla riscaldato. Da quel momento in poi, i bianconeri sono scivolati sul burro tedesco fino al sorteggio di stamani.
Queste sono scelte che si sono rivelate decisive e non è un caso che le abbia fatte l'uomo su cui si erano riversati tutti i dubbi dell' estate juventina, Massimiliano Allegri. Egli ha avuto la consapevolezza di non poter rivoluzionare un gruppo vincente da tre anni in terra madre, ma di procedere a piccoli passi. Ha capito che questa squadra aveva ancora del potenziale da esprimere, soprattutto sul lato tecnico, a mio parere troppo accantonato dalle strategie puramente tattiche di Conte. Proprio di quest'ultimo sono state alcune dichiarazioni con un pizzico di perfidia rivolte alla squadra del tecnico livornese, che, però, ha saputo rispondere come piace a Conte, ovvero sul campo: 2-1 e 0-3. Con tanto di tacito stupore di quei tifosi rossoneri che circa un anno fa chiesero, e ottennero, la sua testa. Non era lui la causa al Milan, che ha problemi ben più profondi di un semplice allenatore.
Dopo l'audacia, ecco la fortuna. Il Monaco è la più abbordabile delle pretendenti al titolo. Lo Stadio Louis II non è lo Juventus Stadium e questo è un notevole vantaggio. Ma occhio a facili insidie, sarebbe un peccato se si ripetessero partite come il Cesena o con la Fiorentina. Gli infortuni non aiutano, ma ora non c'è più tempo per alibi. Ora è il tempo di essere audaci.


martedì 10 marzo 2015

Fattore Rivali

"Mi basta anche un 1-0" sentenziò Allegri alla vigilia della partita con il Sassuolo, sua ex squadra. E' così fu. Il goal, arrivato nel momento giusto, dall' uomo (o ragazzo) più atteso e che aveva più deluso. A Paul Pogba non manca nulla, se non un po' di cattiveria e di continuità. Probabilmente lascerà la Juventus, ma di lui rimarrà il tiro-goal che ha praticamente consegnato il quarto scudetto consecutivo alla Madama torinese.
Nessun rivale è riuscito a star dietro ai bianconeri. La Roma, principale candidata a questo ruolo, si è sfaldata alla prima tempesta, che, paradossalmente, si è creata da sola. L'ultimo pareggio, contro il Chievo, è stato definito da monsieur Garcia "inquietante". A dire il vero, non è stato il primo pareggio della Roma a destare qualche perplessità, ma giustamente il condottiero è stato l'ultimo ad abbandonare una nave che sta colando a picco. Probabilmente la causa di questo periodo è sempre la medesima che attanaglia i romani da ormai parecchi anni: l' ambiente. Fattore che vive troppo di alti (esaltazione) e bassi (delusione). L'allenatore francese, per sua stessa ammissione, ha provato in tutti i modi a cambiare la natura romana "perennemente pessimista".
Credo che un campionato come quello scorso sia stato il massimo colpo che questa squadra possa aver sparato, non sufficiente, però, ad abbattere la corazzata bianconera, che, da qualche tempo, non sembra più tanto infallibile. Ne sono prova le ultime quattro, cinque partite, su tutte la prestazione mortificante in Coppa Italia contro la Fiorentina.
L'altra pretendente al trono italiano, il Napoli, è anch'essa rimasta vittima della propria natura. Emblematici sono la sconfitta con il Torino e la rimonta da parte dell' Inter.
La differenza sostanziale rispetto agli scorsi tre anni è che la Juventus non ha dovuto fare molto pù del necessario: i possibili rivali si solo eliminati per propria mano.
Mentre la Juventus può dunque tirare il fiato e concentrasi sulla lunga notte con il Borussia di mercoledì prossimo, Benitez ritorna agli atteggiamenti del periodo inglese e la Roma si crogiola nella consapevolezza di non essere (ancora) un team vincente. Si riapre, perciò, la lotta per il secondo posto, ma con una candidata in più, ovvero la Lazio di Pioli.


lunedì 16 febbraio 2015

Fattore Risposte

Questo fine settimana è stato quello delle risposte alle parole di Lotito. Uomo oscuro, ma che ama stare sotto i riflettori. La sua storia alla Lazio è costellata di indagini e condanne, ribellioni ed esoneri. Eppure il "Pres" (cit. Iodice) è alquanto bravo nel nascondere la polvere, e non solo con la Snam Lazio Sud. Atteggiamenti mafiosi, movenze fasciste e citazioni latine: un gran bel personaggio per il nostro calcio (senza nulla togliere ai compagni di merenda Preziosi e Galliani). Lo consiglierei a qualche bravo sceneggiatore cinematografico.
Alle sue esternazioni antisportive, sono arrivate delle pronte risposte: Empoli e Cesena su tutte.
Sono sicuro che al momento sia più appetibile una prestazione dell' Empoli, rispetto ad una rossonera, pur avendo un bacino di utenze ridicolmente inferiore. La squadra toscana ha un ottimo gioco fino alla trequarti, una difesa solida (composta da italiani toh guarda),un allenatore schietto e competente. L'esatto opposto del Milan; peccato che la classifica non premi l'Empoli, comunque destinato a salvarsi.
Meno romantica, ma altrettanto apprezzabile, invece, la prestazione del Cesena contro la Juventus, vittima di una presuntuosità in grado di far commettere grandi scivoloni: è sicura di voler arrivare a fine campionato con l'acqua alla gola?
Nonostante tutto, comunque, è arrivata pure una bella risposta da parte della formazione romagnola.

Se dovessi rispondere io a Lotito, gli farei presente che è più sano per il nostro calcio (soprattutto in termini di bilanci, a lui tanto cari) avere piccole società con i conti a posto, piuttosto che averne un po' più grandi, come il Parma, con i conti perennemente in rosso. Gli direi che non tutti hanno il Previti, lo Starace o la Polverini di turno a dare una mano nelle cifre. Gli direi che forse sarebbe meglio iniziare a investire in uno stadio di proprietà (senza tanta megalomania come ai tempi di Veltroni), senza star a ficcare il naso negli affari delle altre squadre.

Ed ora attendo delle risposte anche dai miei "venticinque lettori":  è davvero meglio un giorno da Lotito che cento da Carpi?