Le prime
regole volte a dare ordine al gioco del calcio, le cosiddette "Shieffeld
Rules", furono stilate nel 1858. Da quell'anno il calcio è evoluto,
trasformandosi in qualcosa di molto, molto diverso rispetto alle sue origini.
Sono cambiati i ruoli, i giocatori, gli schemi, le norme e, infine, la figura
dell'arbitro. Si tratta di un discorso molto vasto, perciò vorrei soffermarmi
semplicemente sul ruolo normativo che il direttore di gara ha assunto riguardo
ad alcune situazioni si gioco, soprattutto sul fallo.
Oggi si dice che il calcio sia diventato uno sport quasi di "non contatto", in cui viene fischiato e sanzionato qualsiasi tipo di intervento. E' un calcio meno rude del passato. Io stesso credo che in futuro sarà difficile vedere giocare dei nuovi Gentile, Bruno (Pasquale, naturalmente), Montero o Materazzi, perché passerebbero partite su partite in tribuna a scontare le giornate di squalifica. Non avrebbero vita facile.
Questo cambiamento non è, però, dovuto a cambiamenti di tipo morale, non c'è un "ammorbidimento" spirituale generale. Sarebbe paradossale, infatti, vedere tanta violenza sugli spalti e così poca irruenza in campo. Tale mutamento è, invece, provocato dal diverso modo di applicare il regolamento. Se le Shieffeld Rules avevano un approccio piuttosto sfumato, oserei dire confuso, riguardo alle infrazioni di gioco, attualmente il nostro regolamento, "Regolamento, guida pratica e materiale didattico" del Settore Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri, può vantare una casistica molto più ampia, che contempla qualsiasi situazione ipotetica. Sono circa una ventina i contatti considerati "fallo" o "scorrettezza". Ciò è il risultato di una politica volta a uniformare il grado di giudizio degli arbitri a livello internazionale e ne consegue che l'arbitro migliore è colui che applica in modo migliore il regolamento. In Italia, a causa del nostro spirito complottistico e polemico (è più facile dare la colpa agli arbitri che ammettere le proprie carenze) si è arrivati ad una interpretazione ossessivamente letterale delle norme. L'evoluzione del gioco del calcio, sotto l'aspetto dei regolamenti, si potrebbe, dunque, definire "positiva", volta a osservare concretamente i fatti. In parole povere: le regole devono essere applicate, senza contemplare alcun tipo di interpretazione da parte di chi le fa rispettare, ovvero l'arbitro. Egli è diventato nient'altro che un banale esecutore della parola scritta, senza curarsi di ciò che è "giusto" o "ingiusto". L'interpretazione sta ormai svanendo, nonostante nei regolamenti si faccia riferimento al "buonsenso", inteso come "acume nella percezione del gioco, nell'attitudine dei giocatori, nel luogo e nel momento dell'infrazione" (Michel Vautrot).
Oggi si dice che il calcio sia diventato uno sport quasi di "non contatto", in cui viene fischiato e sanzionato qualsiasi tipo di intervento. E' un calcio meno rude del passato. Io stesso credo che in futuro sarà difficile vedere giocare dei nuovi Gentile, Bruno (Pasquale, naturalmente), Montero o Materazzi, perché passerebbero partite su partite in tribuna a scontare le giornate di squalifica. Non avrebbero vita facile.
Questo cambiamento non è, però, dovuto a cambiamenti di tipo morale, non c'è un "ammorbidimento" spirituale generale. Sarebbe paradossale, infatti, vedere tanta violenza sugli spalti e così poca irruenza in campo. Tale mutamento è, invece, provocato dal diverso modo di applicare il regolamento. Se le Shieffeld Rules avevano un approccio piuttosto sfumato, oserei dire confuso, riguardo alle infrazioni di gioco, attualmente il nostro regolamento, "Regolamento, guida pratica e materiale didattico" del Settore Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri, può vantare una casistica molto più ampia, che contempla qualsiasi situazione ipotetica. Sono circa una ventina i contatti considerati "fallo" o "scorrettezza". Ciò è il risultato di una politica volta a uniformare il grado di giudizio degli arbitri a livello internazionale e ne consegue che l'arbitro migliore è colui che applica in modo migliore il regolamento. In Italia, a causa del nostro spirito complottistico e polemico (è più facile dare la colpa agli arbitri che ammettere le proprie carenze) si è arrivati ad una interpretazione ossessivamente letterale delle norme. L'evoluzione del gioco del calcio, sotto l'aspetto dei regolamenti, si potrebbe, dunque, definire "positiva", volta a osservare concretamente i fatti. In parole povere: le regole devono essere applicate, senza contemplare alcun tipo di interpretazione da parte di chi le fa rispettare, ovvero l'arbitro. Egli è diventato nient'altro che un banale esecutore della parola scritta, senza curarsi di ciò che è "giusto" o "ingiusto". L'interpretazione sta ormai svanendo, nonostante nei regolamenti si faccia riferimento al "buonsenso", inteso come "acume nella percezione del gioco, nell'attitudine dei giocatori, nel luogo e nel momento dell'infrazione" (Michel Vautrot).
Quali sono, perciò,
le conseguenze più evidenti? Ogni contatto viene punito, senza curarsi della
sua entità; il gioco viene molto più frammentato dai continui fischi; il tempo
effettivo di gioco si riduce; aumentano le simulazioni o l'accentuazione del
contatto e via discorrendo.
Il calcio
odierno è forse più sicuro, ma sicuramente meno spettacolare, meno
appassionante. Posso davvero credere che un leggero contatto sulla spalla di
atleti di ottanta chili riesca a farli barcollare, cadere e rotolarsi come
trottole urlando dolori atroci? La risposta mi pare evidente, pertanto concludo consigliando lasciare lavorare in pace l'arbitro, perché "spesso c'è più buon senso in uno solo che in tutta una folla."